La guerra contro un virus che si nutre delle nostre abitudini
Non credo che scorderò mai la copertina del Corriere della Sera quando è apparsa in televisione durante la rassegna stampa dei primi telegiornali, nella mattina del 10 marzo 2020. “Ora è chiusa tutta l’Italia”. Sotto al titolone, una foto della rivolta dei detenuti avvenuta giusto il giorno prima.
Non credo di essermi mai sentito in questo modo da quando venne annunciata la guerra del Golfo durante i telegiornali. Triste pensare che uno dei ricordi più lucidi della mia infanzia sia Emilio Fede che annuncia il disastro imminente.
Eppure questo shock non sembra essere arrivato a decine (se non centinaia) di persone che ora si trovano a vivere una delle situazioni più drammatiche della storia della nostra nazione. Com’è possibile che ci sia ancora qualcuno che ignora le normative dell’attuale decreto emesso per preservare il nostro sistema sanitario dal collasso? Perché una partita a carte con gli amici sembra essere più importante della salvaguardia della nostra stessa salute? Come può un banale aperitivo contare di più rispetto al bene per i vostri familiari?
L’istinto forgiato nei secoli dei secoli…
Il nostro cervello è un organo davvero straordinario. Calcola miliardi di informazioni ogni secondo, riesce a codificare suoni, immagini, sensazioni tattili, olfattive e gustative molto complesse, anche contemporaneamente. Tutto questo mentre gestisce anche tutto ciò che non possiamo controllare: il battito cardiaco, la respirazione, la digestione e tantissime altre funzioni senza che nemmeno ce ne accorgiamo. E’ in assoluto il miglior calcolatore che esista, migliore di qualsiasi dispositivo attualmente in circolazione.
Ma ha un piccolo difetto. Che può diventare enorme in circostanze come queste. Il cervello tende a mantenerci vivi seguendo un istinto di conservazione delle nostre energie che ci arriva da millenni di evoluzione. Abbiamo degli istinti che non possiamo mai controllare del tutto che a tutti gli effetti ora non ci servono più.
Il nostro cervello tende a renderci abitudinari. E’ così infatti che preserva le nostre energie per scopi più importanti: la caccia, la resistenza al freddo e qualsiasi cosa possa aiutare la nostra sopravvivenza. E’ per questo che cambiare idea riguardo un qualsiasi argomento, dopo che ci siamo convinti di qualcosa, è così complicato.
Ormai da secoli però questo non è più un requisito indispensabile. La nostra società (per lo più) non si basa su questo aspetto per poter continuare a esistere. Anzi, la capacità di uscire dagli schemi più di qualche volta ha garantito agli esseri umani di raggiungere uno stato di eccellenza in vari campi (scientifico, artistico, sportivo…). Ciò che è più importante ora per la nostra specie non è essere in grado di ripetere fino al nostro inevitabile decesso una routine di azioni costante e invariabile. Ma è anzi la capacità di adattamento alle situazioni più inconsuete che si possono presentare. Nel remoto passato del genere umano, occorrevano centinaia di anni prima che qualcosa in noi cambiasse e tutto dipendeva dall’evoluzione. Oggi invece dipende solo da noi e dal riuscire a superare questo apparentemente insormontabile ostacolo.
Non mi rendo conto del pericolo, quindi non lo corro.
Ognuno di noi ha le proprie abitudini. C’è chi ne ha di salutari, chi di interessanti e stimolanti. C’è chi però ne ha di negative, di controproducenti, addirittura di autodistruttive. Ma poco cambia per il nostro cervello: un’abitudine è un’abitudine e si sedimenta nei nostri neuroni peggio del fondo di una bottiglia di liquore alla liquirizia fatto in casa.
In questo momento storico, il nostro stramaledetto cervello pigro è la nostra più enorme dannazione. Il COVID-19 non è un pericolo evidente. Non è un soldato che vi punta un fucile alla tempia. E’ un pericolo che non si vede. Nonostante i giornali e i telegiornali ripetano le raccomandazioni praticamente a ogni ora del giorno, molte persone non riescono a percepire la differenza tra una direttiva sanitaria e un’episodio della Signora in Giallo. Pensano che tutto ciò che accade in televisione non esista, perché sia lontano e non pericoloso per loro.
E quindi il nostro aperitivo che salta diventa più importante di qualcosa che nella nostra mente non ci riguarda minimamente. Cacchio, perché dovrei rimanere a casa per un pericolo che esiste solo per gli altri piuttosto che uscire per giocare la mia consueta partita settimanale a freccette con gli amici?
Ed ecco quindi presentarsi ai nostri occhi le situazioni più tragicomiche della nostra storia. Il gruppo di cinque amici che parte da Napoli e Bologna per andare a visitare la casa di Vasco Rossi a Zocca è solamente una delle situazioni che tutti noi possiamo leggere nei quotidiani locali. Dalle mie parti un sindaco ha dovuto circondare con il nastro un parco perché le persone, incuranti di tutto ciò che sta accadendo, si riunivano come se nulla fosse.
Mentre ero nella sala d’attesa di un ambulatorio in ospedale (visita importante e non rinviabile), ho visto coi miei occhi una signora che è andata a dare un bacio a una sua conoscente incontrata lì per caso, sottolineando la cosa con un “tanto tutti prima o poi dobbiamo morire di qualcosa” (visto che ci sei vatti a impiccare a casa tua, brutta deficiente, senza trascinare altri in questo tuo delirio).
Come guarire dal peggiore dei mali
Per fortuna questa incapacità generale di essere mentalmente elastici è qualcosa che si può risolvere. Non facilmente, però.
Serve un cambio di marcia alla nostra cultura e una ri-taratura del nostro modo di vedere l’istruzione. Dobbiamo riuscire a capirne l’importanza ma soprattutto a trasmetterla a chi verrà dopo di noi. Cerchiamo di essere sempre curiosi e di spingere verso questa curiosità i nostri figli. Facciamo capire loro che la scuola è importante a prescindere dalle materie che vengono affrontate. E non è costringendoli a fare i compiti che possiamo riuscire in questo nostro intento, ma con le nostre azioni quotidiane: se un bambino vede un adulto che si appassiona a qualcosa di costruttivo, difficilmente resisterà alla tentazione di appassionarsi allo stesso modo (magari non alla stessa cosa, ma sempre di passione si tratta). Mantenete vivo il suo interesse in uno o più argomenti, cercate di parlare con lui per far sviluppare il suo senso critico anche nelle piccole cose.
Questa vera e propria guerra che stiamo vivendo, in cui non ci sono delle fazioni ma semplicemente un killer invisibile che si nutre della nostra incapacità di adattamento, purtroppo mieterà molte vittime prima di essere terminata. Abbiamo il duplice ruolo, come cittadini, di essere a difesa della nostra patria e contemporaneamente di essere noi stessi la minaccia. Quasi sicuramente, chi leggerà questo mio articolo saprà già come comportarsi. E nonostante tutte le raccomandazioni, continueremo a leggere le giustificazioni più assurde date da persone che se ne fregheranno delle direttive e faranno quello che vogliono loro.
Purtroppo con questi probabilmente la battaglia è già persa. Ma se mettiamo al primo posto l’istruzione di chi verrà dopo di noi, avremo una generazione di persone più agili mentalmente, in grado di sapersi adattare alle emergenze e che quindi sapranno cavarsela meglio di noi.
E poi, come vi sentireste se vostro figlio fosse uno di quei cinque coglioni?
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2 Comments
Ricordo mia nonna che mi raccontava di quando in tempo di guerra andavano a raccogliere frutta e verdura con la paura di qualche incursione aerea, dovevano andare , non c’era da mangiare e non era concepibile lasciare frutta sugli alberi ma la paura c’era eccome, o quando un aereo con una raffica di mitra uccise l’amica di mia madre, 8 anni, mandata a prendere le uova nella fattoria vicina, si era nascosta ma una raffica da un aereo la colpi’, o quando fra il 1967 e 68 l’influenza asiatica fece 5000 vittime la paura l’avevano eccome. Oggi non siamo piu’ abituati a gestire la paura e si passa agli estremi opposti. In una societa’ in cui puoi con tre click farti arrivare roba dall’altra parte del mondo, quando le cose si fan serie si va dal menefreghismo al panico, e’ solo la manifestazione di una supposta superiorita’ ai fatti che questa facilita’ ci da’ . E nel frattempo abbiamo passato i 2000 morti.
Che dire…io faccio il postino, rimarrei volentieri a casa ma continuo a lavorare seppure con tutta una nutrita serie di cautele, posso dire che molta gente ha capito e sente il problema, li vedo ordinati e disciplinati come non mai nelle file, ma c’è anche chi prima si scocciava a venire a firmare la posta che adesso invece si precipita dal balcone. Boh…aspettiamo.